I millennial stanno riscrivendo la genitorialità attraverso il reparenting: curano le ferite emotive del passato mentre educano i figli.
C’è qualcosa di profondamente nuovo in ciò che sta accadendo a una generazione intera e al loro modo di intendere uno dei ruoli più antichi del mondo – quello di genitori. I millennial, la generazione dei nati tra il 1981 e il 1996, stanno infatti ridefinendo il concetto stesso di genitorialità. Per la prima volta nella storia recente, un numero così ampio di adulti cresce i propri figli mentre, in parallelo, prova a guarire le proprie ferite emotive (per la gioia degli psicoterapeuti).

Il Journal of Family Psychology e le ricerche del Harvard Center on the Developing Child evidenziano come sempre più adulti di questa generazione cerchino consapevolmente di interrompere modelli educativi disfunzionali, riconoscendo le carenze affettive ricevute e trasformandole in un’occasione di crescita.
Non è una presa di distanza dai genitori, ma una presa di coscienza. Molti millennial sono cresciuti in contesti dove le emozioni venivano minimizzate, la fragilità confusa con debolezza e il dialogo emotivo spesso sostituito dal silenzio o dal giudizio e così oggi, mentre sono / diventano genitori, scelgono una strada diversa.
Reparenting: crescere i figli curando il proprio bambino interiore
Il concetto chiave è reparenting: un processo psicologico che consiste nel “ri-educare” se stessi, offrendo alla propria parte infantile tutto ciò che è mancato durante l’infanzia. Sicurezza, validazione, ascolto, affetto espresso apertamente: questo percorso non avviene in modo teorico, ma concretamente nella relazione con i figli.
Il genitore millennial ammette la propria non infallibilità (sa dire “Ho sbagliato”, “Mi dispiace”) e non si pone più su un piedistallo di autorità inarrivabile, provando viceversa di improntare la relazione su dialogo e responsabilità emotiva. È un modo nuovo di esercitare il ruolo adulto: non tramite il controllo, ma attraverso la presenza.
La psicologia contemporanea sottolinea quanto questo approccio favorisca lo sviluppo di bambini più sicuri, empatici e capaci di riconoscere e gestire le proprie emozioni. Non è solo un beneficio per il singolo nucleo familiare, ma un investimento emotivo sulla società di domani.
“Io con mio figlio non farò come hanno fatto con me”
Uno degli obiettivi più profondi dei millennial è interrompere i cicli generazionali (laddove per cicli generazionali intendiamo quei meccanismi che si tramandano di padre in figlio e in questo caso la paura del confronto, la difficoltà a esprimere affetto, la repressione dei sentimenti – tutti aspetti collegati fra di loro) e così la frase “Io con mio figlio non farò come hanno fatto con me” assume un nuovo significato: non è più rancore, ma consapevolezza, capacità di riconoscere che anche i propri genitori hanno fatto il meglio con gli strumenti che avevano, ma che oggi esistono conoscenze e risorse diverse.
La diffusione di contenuti psicologici, la normalizzazione della terapia, il dialogo aperto sulla salute mentale e il ruolo dei social come spazi di confronto (uno dei pochi aspetti positivi dei social) hanno contribuito a rendere questo processo collettivo e visibile.
La consapevolezza come nuova forma di eredità
Se le generazioni precedenti lasciavano in eredità sicurezza economica e regole rigide, i millennial scelgono di lasciare strumenti emotivi (anche perché la sicurezza economica non sanno cosa sia): insegnano ai figli che piangere è lecito, che provare rabbia non significa essere sbagliati, che la paura può essere raccontata (e così elaborata e superata).
E così questo nuovo modello educativo non mira a formare individui perfetti, ma persone autentiche, connesse con se stesse: il bambino cresciuto in questo ambiente non impara solo a obbedire e “fare il bravo” ma a comprendere (in primo luogo se stesso, come d’altra parte il genitore prova a fare).
Per essere chiari, questa genitorialità nuova, dei millennial, non è perfetta ma, nella sua imperfezione, è profondamente umana: una genitorialità che prova a contribuire a generare adulti più consapevoli, emotivamente competenti e capaci di relazioni sane. Ci riuscirà davvero?


